TESTI CRITICI
…La mia pittura nasce come un alfabeto. Come dalle lettere si può formare una parola, da una macchia di colore deriva una forma. È un’unione organica di elementi che scaturiscono nel corso del divenire del lavoro. Nello sviluppo di un’opera io scopro l’oggetto o il soggetto che si va definendo… Allora subentra la memoria o l’inconscio e prende forma quello che io ho elaborato. Da questo procedimento nasce il quadro… Sono un creatore dunque e questa potrebbe essere la mia genesi. Ci sono cose che nascono e si sviluppano secondo un itinerario che è già incluso nelle prime mosse, nei primi accostamenti di colori, altre cose nascono così finite che non posso andare oltre senza violarne il segreto…
Karl Plattner
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La sua pittura è personale, intensa e onesta. Tenendo conto che Plattner è principalmente un muralista, non lo troviamo spaesato o incerto al di fuori del suo territorio, nelle composizioni al cavalletto.
La sua arte è legata ai mezzi tecnici, ne esplora coscientemente le diverse possibilità e, se nei colori secchi attaccati al muro raggiunge affermazioni vigorose, non è meno poderoso quando si esprime nella sensualità dell'olio e nel rigore dei piccoli studi su carta, nelle composizioni in bianco e nero sembra ancora più virile e incisivo.
Si può dire che tutta la forza di Plattner provenga dalla sicurezza del disegno e dalla solidità della composizione. Cosciente di quello che offre una sensibilità acutissima ed esigente, l'artista si ostina in una autocritica impietosa quasi tirannica, che non gli permette di concedere nulla a sé stesso; quello che si potrebbe delineare con la leggerezza di impressioni abbozzate si dovrà definire in un severo linguaggio di linee e cromatismi che misconosce quello che è appena suggerito e respinge la ridondanza demagogica delle esagerazioni drammatizzate.
Lourival Gomes Machado, settembre 1952
Il problema del figurativo, del non figurativo e dell'automatismo non preoccupa. Plattner sa che l'arte è astrazione e che di conseguenza non esiste arte senza astrazione e senza qualcosa di incontrollabile. Plattner ha il suo mondo poetico da esprimere di cui fa parte il periodo di vita passato in Brasile. L'umanità di questo popolo ha trovato la via per introdursi nella sua natura vivida di montanaro e di confondersi in una "conoscenza antologica" dalla quale sorge una poesia personale e autentica. Tra una forma priva di contenuto e una forma subordinata al soggetto, c'è una soluzione da trovare. Ed è questa l'unica vera soluzione che consente ad un artista di esprimere totalmente una realtà incommensurabile. Sempre tuttavia legata misteriosamente al sensibile da legami visibili e sottili.
E’ su questa via che si sviluppa il lavoro di Karl Plattner.
Gino Severini, luglio 1956
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Nato e formatosi al bilico fra due grandi culture d’Occidente, la nordica e la mediterranea, Plattner ritiene del pari i segni della civiltà del bosco e del tempio, dell’albero e della pietra, conservando di ambedue il gusto del simbolo, sia esso retaggio di cupe leggende o prodotto della solarità del pensiero, s’inarchi nei gorghi del groviglio vegetale o si distenda nelle cadenze abbacinate della luminosità metafisica. È per questo gusto del simbolo che Plattner non dipinge uomini, ma segni d’umanità; non ci presenta oggetti, ma situazioni allusive che, anche laddove appaiono luoghi di gesta solitarie, finiscono per riecheggiare rapporti d’ampiezza indefinita. Ciò si può riscontrare sia nel più minuto appunto di vita – la figura femminile, ad esempio, colta nell’intimo atteggiarsi, o un volto indifferente sorpreso nello spiraglio d’una finestra - come un tumulto dell’azione dilatata nella vastità dell’affresco. Anche nelle composizioni più ferme e limpide, chiuse nel limite di strutture all’apparenza invalicabili e imprigionate in un gioco di spazi estremamente definito, vibrano echi di forme inconciliate, esaltati fino all’ossessione dal processo per cui interno-esterno si compenetrano e interagiscono.
Franco Solmi, Karl Plattner, 1973, monografia
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Plattner è uno di quegli artisti che amano il "mutamento", che cioè hanno fatto del "mutamento" la base della propria poetica; la poetica dell'aggiornamento continuo sui moduli del gusto, sulle oscillazioni della moda. Plattner al contrario, cresce su sé stesso, non per addizione di motivi e di scelte estemporanee, ma per assimilazione e trasformazione vitale, quindi con una cadenza creativa non certo sbrigativa o frettolosa. Questa è la garanzia che egli ci dà, ma questa è anche la base su cui non può non muoversi un'indagine critica che intenda penetrare e capire i termini in cui si esprime la sua immaginazione plastica. La conoscenza critica dell'opera di Plattner non può di conseguenza articolarsi su di un ricambio incalzante di definizioni. La natura di quest'opera è nella sua continuità di crescita e in tale continuità deve dunque agire l'operazione critica di conoscenza. Ogni quadro di Plattner infatti, è il risultato di un tenace, accanito, ininterrotto avanzamento verso il cuore di un nucleo poetico individuato fin dagli anni più giovani e rivelatosi di uno spessore inesauribile.
Mario De Micheli, catalogo mostra di Castel Mareccio, 1977
....quel mondo duro e tenero insieme, affilato, implacabile, impietoso e insieme ansioso, sognante, di fuga, di follie, che è nelle cose di questo pittore da marca di confine. di un confine non soltanto geografico ma culturale. E questo della marca di confine credo si elemento da tenere in conto per una definizione del mondo di Plattner (come del resto per ogni artista o scrittore che nasca in una regione di confine; quando il confine non segna un fatto dalle due parti terminali, ma piuttosto un andare e venire, un incontro, un incrocio).
Leonardo Sciascia, "Un Peintre-graveur", 1980
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Il paesaggio di Plattner è prima di tutto un paesaggio di tetti innevati della val Venosta, tetti scuri di ardesia di Parigi, in queste angolazioni dove l'occhio non ha tregua, in uno sfumato in un contorno indefinito e morbido, dove tutto è duro e scandito e sublimato in una luce metallica, la luce della ragione che ha vinto il sentimento, noi avvertiamo un continuo allarme, in apparenza contraddittorio con la lucidità dell'immagine. Sembra che Plattner nella sua solitudine abbia voluto sostenersi sul salvagente della pura razionalità. è tuttavia una razionalità spigolosa che non lascia tregua.
Raffaele De Grada, L'Illustrazione, luglio 1988
Nella pittura di Plattner non v’è grande evidenza dello scorrimento cronologico. Se si eccettuano le sperimentazioni dei primissimi anni Cinquanta, quando l’artista riteneva di misurarsi con i linguaggi dell’avanguardia, ed in particolare con la lezione del cubismo, visto naturalmente dalla prospettiva critica di un uomo del secondo dopoguerra, la pittura di Plattner costituisce infatti un corpus molto omogeneo negli intenti e nella vocazione, con rare censure temporali e di stile. Identiche forme e identici saperi appaiono infatti costanti nella sua pittura, in una sorta di circolarità problematica, senza soluzione di continuità e via via ritornante, in una recidiva emergenza esistenziale. Il tempo non mitiga o evolve il piano soggettivo della percezione del sé e dei contenuti, né, tanto meno, quello oggettivo della sua visione coerentemente ancorata per oltre trent’anni ad una chiara definizione del campo della rappresentazione in direzione realistica, vocazione sostenuta da una ferrea disciplina del mestiere. È quest’ultimo atto, quello del dipingere, la prima e forse più immediata qualità del suo lavoro, che prende avvio al torno degli anni Quaranta da un severo tirocinio come frescante, e che poi via via si affina nella pratica del fare, nella curiosità del confronto e, soprattutto, nell’esercizio quotidiano delle tecniche, fino a raggiungere quella straordinaria dimestichezza, che è non solo di tutta la sua pittura, ma anche del disegno, dell’acquaforte, della litografia, del pastello, terreni fertilissimi per ricevere l’impronta di una mano esperta, che ne mette in gioco tutte le possibilità espressive, cosicché la scelta del mezzo diventerà del tutto casuale. Nell’opera di Plattner non esiste infatti gerarchia tra dipinto su tela e su carta, né, dunque, tra la paziente lavorazione ad olio, dove la forma e la figura sedimenta per settimane e mesi, talvolta anche per anni, e la più immediata risoluzione a pastello o matita, che traduce nella leggerezza del gesto e nella morbidezza cromatica, l’identica passione del ricercare […] Egli agiva sulla tela con cautela e passione insieme, lavorando la materia del fondo per lunghi periodi e per lunghi periodi anche abbandonandola, per poi rinnamorarsene all’improvviso, quando dalla superficie, preparata secondo le antiche tecniche, emergeva una qualche figura o meglio una qualche sembianza, che nel suo immaginario prendeva via via forma, suggerendo nell’associazione con la memoria, figure compiute cui dare vita e destino. […] Sulle tracce di questa riesumazione della forma, tanto più prodigiosa quanto imprevedibile, Plattner operava con stupore e fermezza, assecondando la nascita di un nuovo quadro solo quando pensiero e immagine, che via via appariva dall’informe del fondo, andavano sovrapponendosi in una congiunzione compiuta di progetto e segno.
Gabriella Belli, Capolavori, catalogo MART 1996
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Mi sono reso conto, nel tempo, che Karl aveva un animo nomade ed ogni volta che si incontrava era in arrivo da qualche posto od in partenza per qualche altro. Le sue soste, in genere legate al lavoro, allo stesso tempo erano preparativi per nuovi trasferimenti. Ho sempre avuta la sensazione che uno spirito inquieto, di zingaro venostano, lo spingesse lontano dalla sua valle alla ricerca di sé stesso ma anche a riscoprire, in ogni luogo, la conferma e la certezza delle proprie origini; per ascoltare meglio, riflettere di più, capire di più, il che in fondo è la stessa cosa.
Tutti naturalmente viviamo, o soffriamo, le nostre contraddizioni, ma dalle opere e dalla personalità di Plattner emergeva una ricorrente apprensione, il turbamento della ricerca, una coerenza travagliata a conferma dell'intimo, non negato, dubbio nei confronti di sicurezze e di verità conclamate. In certi periodi può essere prevalsa, in lui, una idea, un pensiero, un sentimento capace di spiazzarlo nei confronti di un soggetto naturale che avrebbe potuto essere reinventato attraverso la modificazione dei suoi dati oggettivi, ma è ugualmente difficile immaginare una sua tela od un suo disegno, dove paesaggio, scena, uomini ed animali non possano venire, nel loro insieme, ricondotti alla stessa unica matrice, in una parola, alla sua Weltanschauung.
Piero Siena, Le opere pubbliche, catalogo Museion 1996